In un piccolo cielo, uno splendido romanzo sul Laos

recensione romanzo in un piccolo cielo

La guerra fa schifo. Esistono ragioni geopolitiche, storiche, economiche per fare la guerra, ma continua a fare schifo. Soprattutto per la popolazione. Le questioni da affrontare sarebbero molte, dal fatto che molti ricordano che la guerra fa schifo solo quando non c’è, sino alla domanda se durante una guerra la popolazione locale è sempre innocente.

In un piccolo cielo, romanzo di Paul Yoon disponibile su Amazon pubblicato da Bollati Boringhieri, non si pone tutte queste domande, ma che la guerra fa schifo ce lo fa capire chiaramente attraverso la storia di tre bambini che crescono in fretta: Alisak, Prany e la più piccola Noi.

La trama di In un piccolo cielo

Diciamolo subito, non è un libro di memorie di sopravvissuti alla guerra, è un libro di finzione e l’autore non è di origine laotiana ma nordcoreana. In ogni caso, forse per la distanza che può prendere l’autore dagli eventi si rivela, soprattutto nella prima parte, un pugno allo stomaco. Il parallelo più spontaneo è quello con Sleepers, un film in cui la speranza è difficile da trovare. Alisak, Prany e Noi vivono a Phonsavan, di fatto senza famiglia, crescendo nel pieno della guerra che non esiste, i bombardamenti americani sul Laos non sono mai stai ufficialmente dichiarati.

I tre si ritrovano a vivere e lavorare in un ospedale improvvisato, dove svetta la figura del dottor Vang. Guidano motociclette evitando campi minati, imparano a ricucire arti dilaniati, devono assistere alla scelta di abbandonare i più deboli e cercano di costruirsi futuri immaginari. In più devono stare attenti alle bombe di chi teoricamente è loro alleato, siamo infatti in territorio Hmong ossia una popolazione che durante la guerra si schierò con gli Stati Uniti, perdendola. Questa la prima parte del libro, la più cruda e anche la più diretta, dal ritmo implacabile come un B-52.

La copertina di In un piccolo cielo

Ciò che resta

La seconda parte del libro, anche In un piccolo cielo, non è formalmente diviso in due parti ma di fatto lo è chiaramente. L’autore nomina i capitoli con il nome dei vari personaggi ma è difficile distinguerne le vicende, intrecciate come i resti dei corpi di chi è finito sopra una bomba inesplosa. In questa ipotetica seconda parte il ritmo si fa più lento, la guerra è finita e tutto può smettere di turbinare. Yoon racconta ciò che è successo ai protagonisti del romanzo, a partire dai tre iniziali ma a cui se ne sono aggiunti altri, facendoci vedere le conseguenze della guerra, forse anche peggiori.

La seconda parte del libro è forse più debole della prima, almeno in termini di potenza distruttrice, i B-52 hanno terminato il loro compito, ma lascia il tempo per riflettere. Unico neo del libro è che mi ha anche fatto riflettere su una certa busta di soldi che secondo me non fa capire chi paga chi ma sarete voi a giudicare. Tornando alla trama, i protagonisti rimasti sono cresciuti, hanno avuto futuri spesso molto diversi da quello immaginati nell’ospedale improvvisato ma la vita è così, va vissuta e non bisogna aspettarsi troppo dai propri piani. Soprattutto in situazioni estreme come una guerra.

In un piccolo cielo: considerazioni finali

Il libro In un piccolo cielo, è un romanzo che consiglio a tutti, soprattutto agli amanti delle emozioni forti. In italiano sul Laos in libreria esce poco e quel poco che esce è abbastanza stereotipato. Questo libro ha un grandissimo pregio, mostrare quello che tanti non vogliono vedere, ossia che la guerra fa schifo da qualunque parte la si guardi, soprattutto per una popolazione che si trova dalla parte dei perdenti. Se ci fosse retorica potremmo dire che i bambini sono i più grandi sconfitti della guerra, ma non è la verità, la guerra sconfigge tutti senza badare troppo all’età: semplicemente fa schifo!

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